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Perché il Titanic è affondato?

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È oramai passato più di un secolo da quando, nella notte fra il 14 e il 15 aprile del 1912, il Titanic si inabissò nell’Atlantico al largo di Terranova. Quella fatidica notte il gigante d’acciaio, allora considerato da molti come l’ottava meraviglia del mondo moderno, causò la scomparsa di oltre 1500 persone delle 2200 a bordo, tra cui circa 900 membri dell’equipaggio.

Da allora sono state innumerevoli le teorie che hanno cercato di spiegare, in maniera più o meno veritiera, se non addirittura fantasiosa, le cause dell’affondamento del Titanic. Di recente però, in seguito a più attenti studi, si è giunti alla formulazione di alcune ipotesi che potrebbero spiegare quanto accaduto in quelle gelide acque.

L’RMS Titanic in partenza da Southampton il 10 aprile 1912 (Wikimedia Commons)

L’affondamento del Titanic è presumibilmente riconducibile ad una serie di coincidenze, distrazioni ed errori umani che, concatenandosi, hanno decretato non solo la fine prematura della nave ritenuta “inaffondabile”, ma anche la drammaticità della portata del disastro.

Tali cause possono essere per semplicità ricondotte a tre momenti principali della vita del Titanic:

  • La costruzione
  • La navigazione
  • L’affondamento.

La costruzione del Titanic

Per quanto ritenuto pressoché inaffondabile, appellativo tristemente smentito durante il viaggio inaugurale, il Titanic presentava una serie di difetti e carenze, sia costruttive che progettuali, tali da comprometterne drasticamente la resistenza e la solidità complessiva.

L’acciaio

A partire dal 1985, data in cui, a quasi 4000 metri di profondità, è stato rinvenuto il relitto del transatlantico, si son potuti realizzare molteplici studi sulla qualità e sulla composizione stessa dell’acciaio utilizzato per la costruzione del Titanic.

Il Titanic in costruzione (Wikimedia Commons)

Tali analisi, effettuate sui campioni del relitto dagli esperti Tim Foecke, dell’Istituto Nazionale di Standard e Tecnologia statunitense, e Jennifer Hooper McCarty, dell’Università John Hopkins, hanno rilevato come l’acciaio contenesse quantità superiori alla norma di Zolfo (S) e Fosforo (P). Tali elementi, se presenti in percentuali superiori allo 0,2%, causano una drastica riduzione delle prestazioni dell’acciaio, in particolar modo della resilienza (la capacità di resistere agli urti).

Gli stessi rivetti inoltre, ovvero i “chiodi” utilizzati per il collegamento delle lamiere, sono risultati, in seguito ad un’attenta analisi, assai fragili. Essi contenevano infatti un tenore di scorie oltre 4 volte superiore alla norma.

È stato quindi dimostrato come, in seguito all’impatto con l’iceberg sul lato destro della prua della nave, le lamiere si siano deformate. Così facendo, hanno fatto leva sui rivetti distruggendoli. Questo causò inesorabilmente l’apertura di diverse falle lungo il fianco della nave e non, come a lungo pensato, un unico enorme squarcio.

Le scialuppe di salvataggio

È stata diffusa l’idea di come i costruttori del Titanic abbiano appositamente ridotto il numero delle scialuppe d’emergenza per meri fini estetici, non curandosi della sicurezza dei passeggeri. Tale credenza però non è corretta o, per meglio dire, è imprecisa.

La filmografia relativa al disastro lascia trasparire come le scialuppe fossero decisamente insufficienti ad ospitare tutti i passeggeri ma, al contempo, fossero ritenute pressoché inutili essendo la nave “inaffondabile”. Ciò che può stupire però è come il Titanic fosse assolutamente in regola per quanto riguarda il numero delle lance di salvataggio.

Secondo una legge del ministero del commercio inglese risalente al 1894, tutte le navi eccedenti le 10.000 tonnellate erano obbligate ad avere almeno 16 scialuppe. Nel corso degli anni però tale legge rimase invariata, non adeguandosi quindi all’aumento progressivo del tonnellaggio delle navi passeggeri più moderne.

Il Titanic quindi, di stazza complessiva superiore alle 46.000 tonnellate, possedeva 20 lance, per un totale di 1.178 posti (equivalente solamente al 53% dei 2223 passeggeri). Addirittura, il progetto originale prevedeva un totale di 48, ridotte a 20 per scelta dello stesso presidente della White Star Line, Bruce Ismay, per mere ragioni estetiche.

Il timone

Come per le scialuppe inoltre, insufficienti ma comunque a norma, anche il timone della nave, seppur in linea con le direttive dell’epoca, risultava sottodimensionato per un’imbarcazione di tale portata, come appurato dalla “Titanic Historical Society”.

Esso inoltre era posizionato centralmente alla poppa, esattamente in prossimità dell’elica mediana delle tre di propulsione. Tali eliche però erano azionate da due tipologie differenti di motore: le due laterali erano collegate a due motori alternativi a vapore, quindi a direzione invertibile, mentre la terza, quella centrale, era azionata da una turbina a vapore, quindi irreversibile.

Quando venne ordinato “l’indietro tutta” quindi, vennero invertite solamente le due eliche laterali mentre la terza venne spenta. Ciò diminuì drasticamente la già precaria efficacia del timone causando inesorabilmente lo scontro con l’iceberg.

Purtroppo i problemi del Titanic non si limitarono solamente alla progettazione e alla costruzione. E anzi si palesarono sin dai primi istanti di quello che sarebbe stato il primo, nonché l’ultimo, viaggio.

Incendio a bordo

Il Titanic, come tutte le grandi navi dell’epoca, era azionato da motori a vapore alimentati da caldaie a carbone. Quest’ultimo, ovvero il carburante vero e proprio della nave, era stivato in appositi magazzini alti 3 piani, detti “carbonili”, prima di essere impiegato.

Una delle teorie più accreditate, proposta dal giornalista irlandese Senan Molony, uno dei massimi esperti mondiali del disastro del Titanic, sostiene che in uno di questi carbonili sia scoppiato un incendio. Il carbone infatti, se sottoposto ad elevate temperature e pressioni, può essere soggetto ad autocombustione.

Tali incendi, se non individuati tempestivamente, possono autoalimentarsi per giorni, anche settimane, e raggiungere temperature che sfiorano i 1000 °C; questo fu quello che avvenne nel Titanic. Il carbone infatti, poggiando direttamente sulle pareti della paratia Nr° 5 (ovvero uno dei compartimenti stagni, responsabili del galleggiamento della nave) e raggiungendo una simile temperatura, ha, quasi sicuramente, intaccato notevolmente la resistenza della paratia stessa (esattamente in prossimità del punto d’impatto con l’iceberg).

L’incendio, divampato nel serbatoio Nr° 9, venne individuato durante il tratto da Belfast a Southampton (prima tappa del viaggio inaugurale), quindi circa 10 giorni dopo essere divampato. Ovviamente i passeggeri ne vennero tenuti completamente all’oscuro e, il 12 aprile del 1912, il Titanic partì in direzione di New York.

Questa teoria è stata fortemente supportata dal ritrovamento di alcune fotografie raffiguranti il Titanic prima di compiere il suo viaggio. Nelle immagini infatti, scattate da diverse angolazioni il 2 aprile dal capo degli ingegneri elettrici John Kempster, si può notare un evidente alone nero, lungo circa 9 metri, sul lato destro della nave, proprio in prossimità del locale caldaie interessato dall’incendio. 

Una volta estinto l’incendio, che nel frattempo era dilagato anche ad un serbatoio vicino, si riscontrarono delle deformazioni nella parete della paratia. Queste subito camuffate con una passata di olio nero sulla sezione interessata. Fu così che, nella notte fra il 14 e il 15 aprile, dopo circa 2 ore dall’impatto, la paratia che separava la quinta e la sesta camera stagna cedette, causandone l’allagamento e il successivo inabissamento del Titanic.

I problemi finanziari

Come mai allora il Titanic, forse la nave più sicura e lussuosa che il mondo avesse mai visto, partì con a bordo un incendio? La White Star Line, ovvero la compagnia proprietaria del transatlantico, da tempo versava infatti in condizioni economiche abbastanza avverse.

In seguito quindi all’acquisizione della compagnia da parte del magnate statunitense J.P. Morgan, l’azienda puntò fortemente sullo sfruttamento delle sempre più consistenti rotte atlantiche. Per questo motivo si decise, nel 1906, di realizzare la “Classe Olympic”, una flotta di 3 maestosi transatlantici gemelli: l’Olympic, il Gigantic e, infine, il Titanic.

Il Titanic (destra), oramai completato e pronto alla partenza, e l’Olympic (sinistra) A sinistra la Olympic in riparazione dopo l’incidente subìto (Wikimedia Commons)

L’Olympic però, la prima ad essere completata, subì un grave incidente il 20 settembre 1911, quando si trovava a Southampton. Prima della partenza, il transatlantico venne speronato a prua dal vecchio incrociatore Hawke. L’Olympic venne gravemente danneggiato e lo squarcio formatosi rilevò le gravi carenze strutturali e la scarsa qualità dell’acciaio utilizzato (il medesimo impiegato anche per le altre 2 navi gemelle).

La nave dovette quindi fermarsi per 8 settimane e la riparazione costò all’incirca 22 milioni di sterline (circa 1/5 del costo totale del transatlantico). Come detto quindi, un altro ritardo, causato dall’incendio nelle viscere nel Titanic, avrebbe comportato un ulteriore salasso sulle già fragili finanze della White Star Line.

La velocità di navigazione

Una delle poche cose note relative all’ultimo viaggio del Titanic, poiché registrata sul diario di bordo, è sicuramente la velocità di navigazione. Questa infatti, 22.5 nodi, risulta essere molto elevata, soprattutto se si pensa che la rotta seguita presentava alcune insidie, prima fra tutte gli iceberg. La velocità quindi, in collegamento a quanto già accennato, è da ricondursi a 2 fattori: l’incendio nei carbonili e le fragili finanze.

Il carbone infatti, quando soggetto ad autocombustione, è molto difficile da spegnere con le tecniche tradizionali. Nonostante l’impiego di apposite squadre di pompieri, la soluzione migliore per liberarsi dell’incendio fu gettare il carbone ardente nelle caldaie. Questo provocò un inevitabile aumento della velocità.

Una volta domato l’incendio, il 13 aprile, risultò però impossibile ridurre la velocità. Come detto, la difficile condizione economica dell’azienda costringeva a rifornire le navi della giusta quantità di carbone per la traversata, riducendo al minimo le eccedenze. Una riduzione della velocità, seguita poi, superata la zona degli iceberg, da una nuova accelerazione, avrebbe comportato un consumo eccessivo di carbone e, di conseguenza, il rischio di non riuscire a completare il viaggio.

La notte in cui affondò il Titanic

Come visto quindi, il Titanic, in quella notte di oltre un secolo fa, si dirigeva a tutta velocità verso la sua fine. Per molti anni però ci si è chiesti il motivo per cui le vedette, Reginald Lee e Frederick Fleet, non avvistarono in tempo l’iceberg.

Sin da subito la mancanza dei binocoli, chiusi in un armadietto la cui chiave era rimasta a terra, sembrava una risposta più che plausibile. La verità, però, sembrerebbe essere molto più complessa.

Quella notte infatti, durante il suo tragitto, il Titanic abbandonò le calde acque della corrente del Golfo (13°C circa) per immettersi in quelle gelide del Labrador (1°C), ovvero la corrente che trasporta da nord gli iceberg; tale differenza di temperatura causa inevitabilmente anche lo “scontro” delle due rispettive masse d’aria. Come rivelato infatti dallo storico britannico Tim Maltin al giornale “La Naciòn”, la collisione di questi banchi d’aria può aver causato una distorsione del campo visivo, una sorta di miraggio in piena notte. È quindi molto probabile che gli uomini di vedetta siano stati ingannati vedendo in realtà un “falso orizzonte” che gli nascose l’iceberg fino a quando non fu troppo tardi.

Come è affondato il Titanic?

La tragica fine del Titanic, come visto, fu una sequela di coincidenze ed errori che, col senno di poi, sarebbero potuti essere evitati. Anche durante l’affondamento però si verificarono delle condizioni tali da rendere ancora più drammatica la situazione.

La fuga verso le scialuppe

Come già detto in precedenza, le scialuppe non sarebbero mai bastate per contenere tutti i passeggeri; si è calcolato infatti che avrebbero potuto ospitare circa il 53% dei naufraghi, se riempite completamente però.

Purtroppo infatti, specialmente durante le prime fasi del naufragio, le lance di salvataggio furono occupato solamente in parte per paura che cedessero. Sebbene ci fossero 1.178 posti disponibili, solo 705 persone li occuparono.

Disposizione delle scialuppe di salvataggio del Titanic, orario di calo in mare e numero di passeggeri imbarcati su ognuna (Wikimedia Commons)

Sul lato sinistro della nave inoltre, agli uomini fu impedito di salire sulle scialuppe; gli ufficiali responsabili le fecero occupare solamente da donne e bambini. Sul lato destro invece a dirigere le operazioni si trovava il primo ufficiale William Murdoch. Qui salirono indistintamente uomini, donne e bambini e le scialuppe vennero riempite quasi per intero. Oltre 500 dei 700 superstiti devono la loro vita all’ufficiale Murdoch.

Il Californian

Per anni inoltre non si è mai spiegato perché il Californian, un piroscafo inglese, non abbia risposto ai segnali d’aiuto del Titanic benché si trovasse fermo (sempre causa iceberg) a meno di 20 km di distanza.

Mappa delle navi prossime al Titanic nel momento del naufragio (Wikimedia Commons)

Il marconista del Californian però, verso le 22.40, tentò di avvisare il collega del Titanic della presenza degli iceberg. Quest’ultimo chiese stizzito che venisse lasciata libera la linea telegrafica per i messaggi privati dei passeggeri. Fu così che, quando il Titanic si schiantò, tutti i suoi messaggi di soccorso rimasero inascoltati.

L’equipaggio del Californian vide comunque i razzi di segnalazione lanciati dal Titanic ma, poiché questi non vennero sparati nell’ordine corretto, il messaggio non venne compreso. Il capitano del piroscafo Stanley Lord tentò comunque di comunicare attraverso lampada morse ma senza riuscire a stabilire un contatto.

Questo fu molto probabilmente dovuto alla “scintillazione”, un particolare fenomeno fisico dovuto alla diversa rifrazione dell’aria che causa una rapida variazione della luminosità percepita di un oggetto, in questo caso delle stelle. Confondendosi infatti con lo scintillare delle stelle, le lampade delle due imbarcazioni vennero con molta probabilità scambiate anch’esse per astri.

Fu così che il Californian non intervenne e i naufraghi dovettero attendere l’arrivo del Carpathia, distante circa 100 km. Il transatlantico, percorsa una pericolosa rotta attraverso gli iceberg, arrivò sul luogo del disastro alle ore 4:00 del 15 aprile, un’ora e mezzo dopo il naufragio del Titanic.

Oggi, a distanza di oltre un secolo da quella drammatica notte, rimane ancora vivo il ricordo di quella tragedia in cui morirono oltre 1500 persone. Il relitto venne localizzato il 1° settembre del 1985, a circa 3800 metri di profondità e 900 km dall’isola di Terranova.

Va comunque ricordato come quelle fin qui riportate siano, seppur documentate e razionali, delle mere teorie. Per quanto queste possano avvicinarsi il più possibile alla realtà dei fatti, con molta probabilità non saranno mai scoperti fino in fondo i segreti che il Titanic portò con se.

Bibliografia